Quando si pensa all’intelligenza artificiale (AI), l’immagine che, per prima, mi viene in mente è quella di un dispositivo che, esattamente tre minuti dopo il trillo della sveglia, mi prepara il caffè. L’idea dell’auto che guida da sola (ignorando, magari, i limiti di velocità) non mi va, invece, molto a genio anche perché penso che in caso di infrazioni con decurtazione di punti potrebbe creare dei problemi anche seri.

La verità è che l’AI potrebbe essere un potente alleato anche in battaglie più serie, come quella contro il razzismo, la discriminazione e il bullismo, una proposta portata addirittura in Parlamento. La domanda è: può davvero aiutare, o rischia di finire per essere un’altra voce automatizzata che non ti capisce quando urli “parla con un operatore umano”? Vediamo cosa potrebbe funzionare e cosa no.

Moderazione automatica dei contenuti online

L’AI è già utilizzata per rilevare e cercare di bloccare contenuti offensivi sui social media. Può individuare parole e frasi problematiche, segnalando o eliminando commenti che violano le linee guida della comunità più velocemente di quanto tu possa scrivere “troll da tastiera”. Con il giusto addestramento, l’AI potrebbe persino distinguere tra una battuta innocente e un attacco offensivo, riducendo la diffusione dell’odio online.

Ma, d’altro canto proviamo a immaginare un’AI che censura automaticamente qualsiasi riferimento al “gatto grasso” perché lo considera un insulto agli animali in sovrappeso. Le macchine non sempre colgono le sfumature e l’umorismo, quindi rischiamo di trasformare i social in un luogo asettico dove “ciao” diventa l’unica parola sicura. Inoltre, i leoni da tastiera troveranno sempre modi creativi per aggirare i filtri, quindi potrebbe diventare una gara infinita.

Sistemi di reclutamento e selezione del personale

L’AI può aiutare a ridurre i pregiudizi e le distorsioni inconsci durante il processo di selezione del personale. Analizzando curriculum e lettere di presentazione in modo oggettivo, potrebbe garantire che vengano considerati solo criteri rilevanti, come le competenze e l’esperienza, invece di lasciarsi influenzare da fattori come il nome, l’etnia o l’aspetto. Inoltre, un algoritmo non giudicherà mai il tuo look durante il colloquio su Zoom.

La contropartita, purtroppo, è che l’AI può imparare anche i pregiudizi umani. Se un sistema viene addestrato su dati storici dove certi gruppi erano sottorappresentati, potrebbe perpetuare la stessa discriminazione, ma con un tocco tecnologico. È come cercare di essere imparziali usando la stessa vecchia bilancia analogica e starata, ma con un display digitale.

Monitoraggio nelle scuole per prevenire il bullismo

Immagina telecamere dotate di AI che rilevano comportamenti potenzialmente aggressivi nei corridoi delle scuole, inviando una segnalazione agli insegnanti in tempo reale. Oppure chatbot che permettono agli studenti di segnalare episodi di bullismo in modo anonimo. Potrebbe essere una buona difesa per chi è vittima di prepotenze e ha paura di denunciare apertamente.

Ma mettiamo nel conto che esiste il rischio di ritrovarsi con un’AI che segnala ogni volta che due amici si danno una pacca sulla spalla o che gli insegnanti ricevano decine di notifiche ogni volta che la squadra di calcio festeggia una vittoria. E poi, l’AI potrebbe anche essere vista come un grande fratello che controlla tutto, trasformando la scuola in un episodio di “Black Mirror”.

Educazione e formazione con AI

L’AI può aiutare a educare le persone sull’importanza dell’inclusività, fornendo corsi e materiali didattici personalizzati. Immagina una app che ti segnala delicatamente quando usi un linguaggio potenzialmente discriminatorio, suggerendoti alternative più inclusive. Sarebbe come avere un correttore automatico della sensibilità sociale.

Purtroppo dobbiamo considerare il rischio che alcune persone si sentano “prediche digitali” e che le correzioni automatiche risultino irritanti, tipo il maledetto T9 che ti cambia “ciao” in “cibo”. Inoltre, l’AI può aiutare a insegnare il giusto comportamento, ma non può sostituire l’empatia e la consapevolezza, che sono doti umane difficili da replicare.

Concludendo, l’intelligenza artificiale ha sicuramente il potenziale per contribuire alla lotta contro il razzismo, la discriminazione e il bullismo e via dicendo, ma non è una bacchetta magica. Funziona meglio quando è integrata con l’intervento umano, e serve ancora molto lavoro per evitare che diventi il nuovo “vigile urbano” che multa tutti senza pietà. Dopotutto, anche i robot hanno bisogno di un po’ di buon senso e di tanto buon senso avrebbero bisogno quelli che vogliono risolvere tutto con l’intelligenza (artificiale).