Secondo il Sole 24 Ore, solo il 5% della forza lavoro italiana può essere considerata fare parte dei “future-ready workers”. In parole povere, forse anche impietose, il 95% dei lavoratori italiani è ancora impegnato a lottare con la fotocopiatrice che si inceppa, mentre l’IA sta già scrivendo poemi epici, programmando razzi spaziali e, quasi sicuramente, risolvendo anche il cubo di Rubik senza guardare.
Ma cosa significa essere future-ready worker? In breve, vuol dire avere le competenze per collaborare con macchine intelligenti, risolvere problemi complessi e, perché no, magari fare amicizia con ChatGPT (si, proprio l’autrice dellimmagine). Eppure, in Italia sembra che ci piaccia l’idea di tenere il futuro a distanza di sicurezza, un po’ come l’ombrellone in spiaggia: “Occhio, è troppo vicino, arretra un po’!”

Perché siamo così indietro?

La risposta, brutale ma semplice, secondo me riguarda principalmente la formazione e mentalità.
A mio avviso la formazione spesso è ancora legata al Novecento: ti insegnano a lavorare su macchinari che oggi sono esposti nei musei mentre l’italica mentalità naviga, a vista, tra frasi come “È così che abbiamo sempre fatto” e “L’IA non potrà mai capire la nostra creatività italiana”, alibi improbabili e puerii.

Le soluzioni (non tutte serie, anzi)

Corso di sopravvivenza digitale per tutti
Un pacchetto formativo obbligatorio per tutte le età, con livelli progressivi:
Livello base: imparare a distinguere tra “Reply” o “Reply All” e “Cc” o “Ccn” senza causare un cataclisma aziendale.
Livello intermedio: trucchi per evitare di scrivere “Salve a tutti” nelle email e tutorial su come usare le emoji in modo professionale (spoiler: mai usarle in fatture).
Livello avanzato: come installare e configurare un software senza chiamare un nipote esperto.

Dialoghi con l’IA (ed evitare di sembrare un robot noi stessi)
Ogni italiano dovrebbe avere una tessera fedeltà per dialogare con l’IA, imparando a:
Chiedere aiuto per vere emergenze, tipo “Scrivi un discorso per la riunione di domani” o “Trova scuse credibili per non partecipare alla riunione di domani”.
Evitare domande che mettono l’IA in imbarazzo, tipo “Mi ami?” o “Chi è meglio tra Napoli e Juventus?”.
E alla fine del corso, un bel diploma: “Certificato di conversazione non imbarazzante con ChatGPT”.

Premio “future-ready”
Ogni anno dovremmo istituire un premio per i lavoratori più all’avanguardia. Le categorie potrebbero essere:
Il mago delle automazioni: per chi è riuscito a eliminare almeno il 50% delle attività ripetitive grazie a macro di Excel, chatbot o semplici post-it posizionati in modo strategico ma evitando il monitor del collega.
Il re dell’upskilling: chi ha capito perfettamente cosa sia questo diavolo di upskilling e ha completato almeno un corso online senza dormire alla seconda lezione.
Il cavaliere dell’innovazione inutile: per chi usa l’IA anche per scrivere la lista della spesa (e poi, ovviamente, compra tutto tranne quello che serve).

Eventi di team building con il futuro
Altro che corsi motivazionali nei boschi! Serve un’esperienza pratica per familiarizzare con il futuro:
Sfide di gruppo con ChatGPT, tipo: “Chi scrive il miglior discorso aziendale, voi o l’IA?”
Gare di velocità tra lavoratori e automazioni: chi riesce a ordinare 100 file in meno tempo?
Una serata retro-tech: spegniamo tutto e proviamo a lavorare come nel 1990 (spoiler: nessuno dura più di 10 minuti).

Influencer del futuro: dall’IA alle generazioni Z
Creiamo influencer che spieghino la tecnologia ai meno giovani con tutorial pratici, tipo:
“Come diventare LinkedIn-famous senza usare parole come disruptive ogni tre righe.”
“Come postare una foto su Instagram senza sembrare tuo zio che scrive a tutta birra.”

Il patentino per la tecnologia
Proprio come per guidare, serve una patente per usare la tecnologia con buonsenso:
Esame scritto: “Spiega cos’è il cloud senza dire che è una cosa che vola.”
Prova pratica: scarica un file PDF, allegalo a un’email e invialo entro 5 minuti senza panico.

E se tutto fallisce?

Beh, potremmo sempre dedicarci al nostro talento innato: l’improvvisazione. Perché, se il futuro richiede di essere ready, noi italiani siamo da sempre ready a improvvisare con stile, pronti ad inventare scuse inverosimili e solo vagamente credibii, ma anche ad uscire fuori dai guai con invenzioni impossibili.
Quindi, non è mai troppo tardi per aggiornarsi e diventare parte del famoso 5%. Forse non siamo future-ready, ma siamo caffè-ready da secoli: quindi, una pausa, un espresso e poi sotto con la formazione!