Anche se pare una scoperta degli ultimi anni, i big data esistevano ancor prima che venisse coniato il termine e fanno parte integrante del mondo come lo conosciamo oggi e della sua storia fin dal Big Bang. L’analisi dei big data, indispensabile per programmare in modo efficace qualsia attività umana, richiede tempo e, soprattutto, richiede continue ricerche e incroci con altri dati e informazioni reperibili in altri archivi altrettanto grandi.

Eppure, se crediamo che le nostre attività, siano esse profit o non profit, debbano muovere da una attenta conoscenza del contesto economico, culturale o sociale sul quale intendiamo muoverci, non possiamo fare a meno di analizzare i dati di nostro interesse incrociandoli fra di loro.

Con il rischio concreto, che mentre ci barcameniamo fra fogli di calcolo e pagine web, i dati stessi cambino stravolgendo le strategie e i progetti che avevamo pensato di adottare.

Ma forse l’Intelligenza Artificiale (AI) può darci una mano nell’analisi dei big data. Non immaginiamoci un super computer che, da solo, prenda le decisioni dopo aver analizzato tutte le informazioni che è in grado di reperire. Quello era il “WORP” del film “War Games”, una macchina che dopo aver analizzato tutti i possibili scenari di una guerra termonucleare globale decide che quello è “uno strano tipo di gioco dove l’unico modo per vincere è non giocare”.

Qui parliamo di professionisti IT, di scienziati informatici e esperti delle più svariate branche che insieme mettono a punto complessi algoritmi che insegnino alle macchini cosa e come cercare le informazioni da restituire sotto forma di elaborati che abbiano anche un significato strategico per la programmazione degli interventi da adottare. Che poi questi algoritmi per “girare” a una velocità sufficiente a fornirci informazioni indispensabili e tempestive abbiano bisogno di ferraglia (il nomignolo con il quale, affettuosamente, chiamo l’hardware) potentissima è solo un aspetto del problema.

Oggi internet raccoglie e può fornire informazioni concrete sulle abitudini dei cittadini, su cosa amano e cosa non amano, sulle attività che preferiscono e altre informazioni che fino a un decennio fa erano possibili solo attraverso costose interviste a campione.

I nostri account sui social media e i nostri profili online, le attività su social network, le recensioni dei prodotti e dei servizi che spesso facciamo anche nei commenti “social”, l’interesse verso questo o quell’argomento o evento, i contenuti che condividiamo e i “like” che mettiamo a particolari post, perfino il nostro pool di amicizie virtuali aggiungono alle fredde e, perdonatemi, sterili statistiche demografiche informazioni essenziali per capire il contesto nel quale è necessario programmare interventi.

La capacità di auto apprendimento dell’intelligenza artificiale, se basate su algoritmi affidabili e collaudati, non solo è in grado di fornire fotografie accurate della base sociale di un’area precisa ma anche di rilevare eventuali anomalie scindendo quelle importanti da quelle che non hanno valore perché causate da tendenze ed eventi esterni non significativi.

I big data continueranno a crescere man mano che l’intelligenza artificiale diventa un’opzione più praticabile per automatizzare più attività e l’intelligenza artificiale diventerà un campo più ampio man mano che saranno disponibili più dati per l’apprendimento e l’analisi.

È il gatto che si morde la coda o un circolo virtuoso che può aiutarci a migliorare?