Quando si parla con i giovani, quando si entra nella “bolla” che un gruppo o una classe ha costruito intorno a ognuno di loro, è bene arrivare all’incontro ben preparati, curando sia l’aspetto verbale sia l’aspetto non verbale della comunicazione.
Soprattutto è fondamentale rimanere sé stessi, i giovani riescono a scoprire un falso comunicatore a un miglio di distanza, pur mantenendo un rapporto che rispetti i ruoli e che sia appropriato alle circostanze del dialogo che cerchiamo di instaurare.
Le parole
Cerchiamo di essere sempre noi stessi: parliamo come faremmo normalmente con chiunque altro pur ricordandoci che sono, appunto, giovani. Questo significa mantenere sempre uno stile di linguaggio appropriato al luogo e alle circostanze ma, soprattutto rispettoso. Rispettoso di noi, delle nostre idee ma contemporaneamente rispettoso di loro e delle loro idee. Stacchiamoci dagli stereotipi sui giovani se non vogliamo che loro non usino i loro stereotipi contro di noi.
Le parole dovrebbero essere semplici e non “drogate” per un pubblico giovane. Dimentichiamoci, una volta per tutte, il gergo e gli acronimi che usiamo ogni giorno quando parliamo con il nostro gruppo di “vecchi”. Non usiamo il loro slang pensando che i giovani vogliano sentire le parole che usano fra di loro. E non cerchiamo di copiare i loro accenti o la loro pronuncia, potrebbero sentirsi offesi.
Pesiamo ogni parola che utilizzeremo e a come potrebbe influenzare qualcuno con un background diverso dal nostro. Pesare ogni parola confrontandola con i problemi di razza, religione, disabilità, sesso o sessualità. Un termine che per noi potrebbe essere normale può essere gravemente offensivo per un giovane. Anche le parole usate spesso dai giovani, dall’istruzione o dai professionisti della comunità – come “vulnerabile” o “a rischio” – possono essere viste negativamente dai giovani.
Curiamo il tono della nostra voce, parlando con livello che consenta a tutti di sentirci ma che non sembri un comizio. Usare l’umorismo è un ottimo modo per creare fiducia e lasciarsi prendere dalle emozioni, che siano vere e non artefatte, aiuta a stabilire un rapporto stabile.
Linguaggio del corpo
Fondamentale è il linguaggio del corpo che deve essere sempre aperto e non minaccioso. Braccia e gambe incrociate sono segno di chiusura, il dito puntato o picchiettato potrebbe sembrare una minaccia mentre le palme verso l’alto il sorriso, lo sguardo verso di loro, il piegarsi in avanti mentre parlano sono segno di pace e interesse.
Quando parliamo da vanti a una classe, davanti a un gruppo omogeneo che ha le sue dinamiche interne ed esterne, mettiamoci al loro stesso livello, seduti o accovacciati. In piedi potremmo essere visti come il professore con la sua scienza, come il prete dall’altare con le sue certezze, come un politico dal palco che arringa la folla. E manteniamo una distanza che ci consenta di non avere l’aria di invadere il loro spazio personale. Quando avremo la loro fiducia saranno loro ad avvicinarsi.
Quando i giovani parlano prestiamo estrema attenzione a quello che dicono e dimostriamolo guardandoli, annuendo, annotando le loro parole per usarle per fare loro domande o per rispondere. Quando parliamo noi cerchiamo di coinvolgere tutti nella conversazione e non solo quelli più accesi, più battaglieri. Ma ricordiamo sempre, in questa società multietnica e multiculturale che alcuni giovani potrebbe considerare il contatto visivo insistente come scortese o considerano tacere come segno di rispetto verso chi ha qualche anno in più.
Diamo tempo al tempo, non basta un incontro per creare fiducia. Per aprirsi, per portarli a parlare di loro, per far condividere le loro storie e i loro pensieri, potrebbero volerci più incontri.
Aperti Sì, ma mantenendo i limiti
Essere aperti sulla nostra vita e sulle nostre esperienze mostra ai giovani che ti fidiamo di loro e li vediamo come uguali. Ma essere troppo aperti, condividere troppo di noi stessi, può essere inappropriato. È meglio mantenere sempre dei limiti adeguati: i giovani vogliono che alcune parti della loro vita restino off-limits, facciamo lo stesso. Soprattutto tutto ciò che riguarda alcool, sesso o droghe.
Troveremo quasi sicuramente il giovane che proverà a provocarci su argomenti off-limits per metterci alla prova. Di solito basta un sorriso che non sia una smorfia e rispondere che la domanda è personale per dimostrare loro che stanno superando i limiti. Oltre a cambiare argomento una buona strategia, se l’ambiente lo consente, è ribaltare la domanda sull’interlocutore. Se un giovane ci chiede quando e perché abbiamo deciso di fare i volontari potremmo rispondere, senza mostrarci offesi: “Perché ti interessa? Pensi sia importante quando scegli di aiutare gli altri?”
Vecchi trucchi
Sia se dobbiamo parlare sia se dobbiamo scrivere per un pubblico giovane cerchiamo di usare i vecchi trucchi del giornalismo illuminato di una volta.
- Identifichiamo il pubblico: usare la stessa scaletta, le stesse parole per i ragazzi di quinta elementare, delle scuole medie o delle scuole superiori è il peggior errore che si possa fare;
- Se non riusciamo a immedesimarci chiediamo aiuto a un giovane per fare in modo da poterlo adattare;
- Usiamo parole chiare e semplici, bandendo acronimi e gergo professionale.
- Usiamo la lingua italiana corretta in modo che possa essere compresa da tutti, inclusi i giovani che non sono di madrelingua italiana;
- Messaggi brevi e diritti al punto: il segreto sono le frasi brevi;
- Modifichiamo e rimodifichiamo fino a che non avremo più nulla da modificare!