Provate a fare questa questa affermazione davanti a un pubblico: “I problemi più grandi, oggi, sono ignoranza e indifferenza”.

Dalle espressioni dei visi, che raramente mentono, vedreste che qualcuno è perplesso, cerca di riflettere, ma, purtroppo, la maggioranza avrebbe la classica espressione “Non saprei, ma anche fosse vero, sai quanto me ne importa?”.

Per entrare nel vivo della questione cerchiamo di capire i due termini che stiamo associando.

Dal punto di vista del lessico possiamo definire l’ignoranza come inconsapevolezza o incompetenza oppure come condizione determinata dalla mancanza di istruzione o di educazione. Per colpa propria (ignorare la legge non è ammesso) o per colpa del sistema (mancanza di istruzione o di formazione, manipolazione o omissione delle informazioni) l’ignorante è, semplicemente chi non conosce.

Tu puoi anche avere quattordici lauree in materie umanistiche ma se non la conosci, se non ti informi e non la studi, resterai per sempre ignorante in materia di fisica quantistica.

Diverso il concetto di indifferenza, almeno nel linguaggio comune, dove con questa parola si definisce la condizione e il comportamento di chi non mostra interessamento, simpatia, partecipazione affettiva, turbamento per le vicende che accadono intorno a lui.

In poche parole essere indifferente significa essere incapace di essere commosso da eventi e persone, di non farsi coinvolgere da ciò che avviene al di fuori di una corazza fatta di strati di egocentrismo che circondano il nostro ego. Significa estraniare il nostro pensiero da quello che succede al di fuori del nostro piccolo gruppo, dal nostro villaggio.

Il premio Nobel George Bernard Shaw, nello scorso secolo, affermava: “Il peggior peccato verso i nostri simili non è l’odio, ma l’indifferenza: questa è l’essenza di disumanità”.

Possiamo dire che oggi l’indifferenza sia diventato il linguaggio della negazione, una negazione del problema che non ci tocca direttamente e che quindi, per noi, non esiste. Lo sanno bene i burocrati che usano regole scritte e non scritte per ostacolare e, a volte anche per danneggiare, i cittadini che avrebbero dovuto aiutare.

Mi potreste rispondere che sarebbe anche giusto. In fondo una struttura pubblica dovrebbe guardare al benessere della collettività e non del singolo. E questo, esattamente, significa essere indifferenti. Indifferenti alla radice del problema che risiede nel singolo, parte indispensabile della collettività.

Un discorso a parte merita, a mio avviso, l’ignoranza.

Se cento anni fa l’ignoranza era quasi endemica, come lo è tuttora per larga parte della popolazione mondiale, nei sedicenti paese industrializzati stiamo assistendo, progressivamente, allo sviluppo di una nuova e pericolosissima forma di ignoranza indotta dai moderni mezzi di comunicazione. I social network, la carta stampata, le radio e le televisioni ci bombardano con informazioni che, quasi certamente, non passerebbero nemmeno uno dei tre setacci attribuiti, erroneamente, a Socrate.

Informazioni non verificate, non buone e non utili ma che, poiché “l’ho letto su internet”, “l’hanno detto in TV”, “l’ho letto su un rotocalco” diventano vere. Il verbo rivelato.

Per non parlare dalla falsa conoscenza che ci viene dalla consultazione del mare di informazioni che il web è in grado di fornire. Prima di procedere chiariamo un concetto. Oggi scalare i motori di ricerca per raggiungere la prima pagina, per arrivare nell’olimpo dei primi dieci, costa “sangue, sudore e lacrime”. O decine e decine di migliaia di dollari. Ora voi credete davvero che chi ha spesso qualche decina di migliaia di dollari per arrivare sulla prima pagina di Google per la ricerca “rimedio naturale per il raffreddore” sia un mecenate che vuole sconfiggere la malattia più comune? Oppure è qualcuno che vuole vendervi a caro prezzo, spacciandolo per “antico rimedio naturale”, qualcosa che non cambierà la situazione, almeno non più di un banale (e, consentitemi, buonissimo) vin brûlé?

Ed ecco che la sapiente miscela di ignoranza e indifferenza diventa esplosiva, dilaniante per la nostra società. Con gli effetti che, anche se cerchiamo di negare, purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. La domanda che spesso ricorre nei miei pensieri è la stessa di Seneca in Medea: “Cui prodest scelus, is fecit”. Il delitto l’ha commesso colui al quale esso giova.