Nel web nessuno legge veramente un testo, ma lo scorre in cerca dei dettagli più evidenti.”

La frase, ovviamente, non è mia ma di Jacob Nielsen e ci propone una prima riflessione. Oggi scrivere per il web, comunicare 2.0, vuol dire concentrarci su quei dettagli evidenti; scrivere qualcosa di interessante, magari profondo, ma che sia contemporaneamente chiaro e gradevole per chi, in autobus, in treno, a letto o seduto al PC, ci legge.

Teniamo sempre ben in mente una cosa fondamentale: un libro, una rivista, un quotidiano sono cose completamente diverse da una pagina web, si rivolgono a un pubblico diverso che legge, ha voglia di conoscere, in momenti diversi, in luoghi diversi. Sono persone che hanno esigenze diverse, a volte diametralmente opposte.

Ecco perché il web è differente. Una pagina web deve avere una sua struttura grafica coerente, fatta di titoli, sottotitoli, con rientri dei paragrafi e una adeguata spaziatura fra gli stessi.

I paragrafi … quanto deve essere lungo un paragrafo per il web? Due o tre righe, quattro o cinque, sei o più? Paragrafi di una sola riga? Il segreto di una pagina web ben strutturata è nel ritmo: una alternanza di paragrafi brevi e paragrafi lunghi. Esprimere un concetto in poche battute e poi approfondirlo con una concreta argomentazione.

Attenzione dall’uso e dall’abuso delle decorazioni grafiche (grassetto, corsivo, occhielli, ma anche citazioni e didascalie). Il lettore focalizza immediatamente la sua attenzione sul grassetto, il corsivo enfatizza un concetto. E il lettore deve capire subito che quella parte del testo è una citazione o la didascalia di un’immagine, di una formula. Un pessimo costume, poi, è l’abuso delle maiuscole. La lingua italiana prevede che l’iniziale maiuscola debba essere usata per i nomi di persona, per le nazioni e altri pochi casi. Nel web, proprio perché balza subito all’occhio, una parola scritta tutta maiuscola è immediatamente riconosciuta e se poi è MAIUSCOLO GRASSETTO è urlata.

Come in una partitura musicale gli spazi vuoti segnano pause, separano i vari elementi della struttura del nostro scritto, il titolo dai paragrafi, un paragrafo dall’altro.

La SEO, questa sconosciuta

Per essere trovati da Google, per essere visibili sui principali motori di ricerca, è indispensabile trovare un compromesso fra il nostro stile e quello che il motore di ricerca comprende del nostro pensiero. Ecco perché scrivere per il web sta diventando un’arte.

Quando ottimizziamo una pagina la rendiamo, semplicemente, più chiara per gli algoritmi di Google; far capire al signor G. di cosa stiamo parlando, consentendogli di fare confronti e assegnare al nostro scritto un punteggio decidendo dove posizionarlo fra i milioni di testi che parlano di un determinato argomento.

E qui entrano in gioco le “parole chiave”, quelle per le quali vogliamo apparire nei risultati della ricerca. La frase, la keyword, “donazione organi” appare nei risultati di Google 108.000 volte. Per la frase completa, quella che farebbe un utente evoluto di internet il sito di AIDO non compare mai fra i primi 150 risultati. Appare, ma solo al terzo posto, se si cercano le parole donazione e organi. Riflettiamoci.

Ottimizzare la pagina per alcune parole chiave, per alcune frasi, significa controllare continuamente cosa si sta scrivendo, quante volte si usa la parola o la frase chiave, e mantenere un giusto equilibrio, ne troppe ne poche.

E, a proposito di parole, non dimentichiamo quelle che gli esperti di SEO definiscono stop words, le parole di arresto. “Carneade, chi era costui?” si chiedeva l’azzeccagarbugli di Manzoniana memoria, ma cosa sono queste parole di arresto? Sono gli articoli, le congiunzioni, i pronomi e tutte quelle parole d’uso comune che, non molto significative, servono a rendere più comprensibile il testo. Forse con un esempio chiariamo il concetto:

  1. Donazione Organi Italia;
  2. Come fare la donazione di organi in Italia;
  3. Chiariamo i dubbi sulla donazione di organi in Italia;
  4. Cosa dice la legge italiana sulla donazione di organi;
  5. Perché esprimere la propria volontà sulla Donazione degli Organi;
  6. Eccetera.

Chiaro ora?

Come comunicare

Qualsiasi cosa vogliamo comunicare, e questa è una regola fondamentale della comunicazione in generale, deve rispondere almeno a tre requisiti, se si tratta di un annuncio, di un comunicato stampa. L’iniziale delle tre parole, in inglese, è la stessa: “W”; When, Where, What (Quando, Dove, Cosa).

Se dobbiamo annunciare un evento iniziamo, quindi, a dire quando ci sarà o quando è successo l’evento; diciamo anche dove e spieghiamo in cosa consiste l’evento o cosa è successo. Se riusciamo a concentrare in un paragrafo di, al massimo, tre o quattro righe le tre W, se le posizioniamo, come “occhiello”, immediatamente sotto il titolo utilizzando all’interno del testo la parola chiave principale, abbiamo già fatto una bella scalata nelle classifiche di Big G.

Onestà intellettuale

E qui entrano in gioco i titoli e i loro diversi formati. Nel titolo diciamo al lettore che parleremo di un determinato argomento. Se, nella foga della scrittura, ci perdiamo per strada e parliamo di tutt’altro lo deluderemo e la prossima volta ci scarterà a priori. Se il nostro titolo è: “Cosa dice la legge italiana sulla donazione di organi”; il lettore si aspetterà di sapere le leggi cosa dicono in materia e non certo quali sono gli aspetti etici, morali e altruistici della Donazione degli Organi che, magari, potrebbero essere oggetto di un altro articolo che richiameremo brevemente e linkeremo. Ricordiamo che il web è un villaggio globale dove tutti cercano di vendere (parola bruttissima ma adeguata al contesto) la propria idea.

Se al mercato vedete un cartello gigante “Arance a un euro il Kg” e nel banco trovate solo spinaci, patate o carciofi cosa penserete del venditore?

Cerchiamo di arrivare subito al punto

A volte, direi spesso, ci si perde nel cercare di introdurre l’argomento e si scrivono due, tre paragrafi di introduzione. Non è un errore, la lunghezza dell’introduzione dovrebbe dipendere dalla lunghezza del testo. E, sul web, la lunghezza del testo non si misura in battute ma in parole e paragrafi. Se nella nostra introduzione ci impastoiamo in giri di parole esprimendo concetti su concetti, specie se parliamo di novità, rischiamo di far perdere interesse al lettore che in dieci secondi abbandonerà la pagina. Già, perché il lettore visualizza il testo che vede sul suo schermo, lo analizza velocemente e decide in pochi secondi se proseguire nella lettura o abbandonare.

Ma quanto deve essere lungo l’articolo?

Siamo arrivati al punto cruciale, la lunghezza di un testo per il web. Troppo lungo rischiamo di annoiare, troppo corto rischiamo di essere scartati da Big G. In questo caso la risposta è: “dipende”. Al di sotto delle 300 parole siamo certamente poco convincenti, al di sopra di 2.000 parole rischiamo di accogliere pochi lettori. Personalmente preferisco mantenermi fra le 400 e le 700 parole per non essere troppo sintetico o annoiare i lettori. Teniamo conto che, oggi in rete, c’è di tutto e di più. Se vogliamo, su certi argomenti, sbaragliare la concorrenza dobbiamo essere esaustivi senza annoiare.

È una questione di stile

Quando siete al bar o a tavola con gli amici usate lo stesso tono, le stesse parole, di quando fate una lezione o siete oratori a una conferenza? Sul web valgono le stesse regola a patto che si riesca a far trasparire la propria personalità. Voglio dire che chi frequenta il sito sul quale scriviamo deve riconoscerci, sempre.

Cerchiamo di non apparire sempre professori, anche se parliamo di argomenti che conosciamo a menadito, e cerchiamo di mettere a proprio agio il lettore. Inevitabilmente lo stile comporta anche la forma con la quale parliamo. La lingua parlata ci porta a usare, automaticamente, la forma riflessiva o quella passiva adattandola al contesto.

Nel web il contesto siamo noi, tutto dipende da cosa vogliamo segnalare al lettore e a quale categoria di lettori ci stiamo rivolgendo. Ricordiamo che la forma riflessiva è impersonale: “si deve esprimere la propria volontà” non suona come “dobbiamo esprimere la nostra volontà”; “l’applicazione ha portato 4.000 nuove dichiarazioni” non focalizza l’attenzione sul valore del prodotto come “4.000 cittadini hanno espresso la loro volontà con l’applicazione”. Proviamo a concentrarci su questi aspetti e su come, spesso, la forma attiva sia più efficace della forma riflessiva o passiva.

Link e CTA

Odio il “clicca qui”. Che cavolo significa? “per scrivermi una mail clicca qui” è completamente diverso da “se vuoi, scrivimi”. Secondo voi quale è più efficace? In poche parole, anche sul web cerchiamo di essere noi stessi e farci capire.

Infine, ma non perché sia meno importante, riscontro in molti siti web, la mancanza di CTA chiare e semplici, quelle che utilizzeremo anche in un discorso. CTA, acronimo di Call To Action, è un invito a fare qualcosa. Avete presente l’invito ad acquistare “ordina ora!”? È una Call To Action. “continua a leggere” è una Call To Action.

“Informati, decidi e firma” sono due CTA validissime per AIDO.