Problema risolto o problema spostato?
Siamo nel 2024, l’anno in cui i ragazzini imparano a usare il touch screen prima di imparare a scrivere e una petizione chiede al Governo di vietare gli smartphone sotto i 14 anni e i social sotto i 16. Un privato ci prova: basta con i nativi digitali, torniamo all’età della pietra, quando i ragazzini comunicavano a colpi di clava… ops, SMS!
Lavoriamo di fantasia e immaginiamo un mondo in cui questo divieto entri in vigore. Sicuramente alcuni genitori tirerebbero un sospiro di sollievo: niente più lamenti per l’ultima challenge di TikTok, nessuna richiesta disperata di un nuovo modello di smartphone ogni 6 mesi. E i ragazzi? Beh, secondo la petizione, vivrebbero finalmente la loro adolescenza a contatto con la natura, lontani da selfie e scrollate infinite.
Divieto = Problema risolto? Non credo proprio!
Mettiamo subito le cose in chiaro: vietare non risolve il problema ma lo sposta, semplicemente, di qualche mese. Insomma, facciamo una diga e aspettiamo che l’acqua trovi da sola una nuova via d’uscita. Senza dimenticare che i ragazzi sono più bravi di un ingegnere idraulico con 30 anni di esperienza quando si tratta di trovare scorciatoie tecnologiche. Specie se si tratta di Internet & C. Gli Account falsi? Li sanno fare meglio e più rapidamente di noi millennial. Smartphone sottobanco? Farseli dare dai fratelli maggiori o dagli amici per i ragazzini e roba di routine.
Dopo tutto, vietare uno strumento senza insegnare come usarlo è come dare a qualcuno una macchina senza il manuale: prima o poi ci saranno incidenti. Il punto non è tanto se usarli, ma come usarli. E, a proposito di come usarli, quanti millennial sanno usare correttamente i social o gli smartphone? Quanti “anziani” sanno riconoscere al volo una fake news o un tentativo di phishing?
La soluzione facile non esiste!
Se davvero pensiamo che un divieto sia la soluzione, stiamo forse dimenticando che il vero problema non è lo smartphone o il social in sé, ma l’uso che ne viene fatto, sia dai ragazzi, sia dai sedicenti adulti. E, non nascondiamoci dietro al dito, vietare è un po’ come mettere un cerotto su una ferita che ha bisogno di punti di sutura. Forse sarebbe meglio educare i ragazzi, e non solo loro, a un uso consapevole della tecnologia; che un like non è una valuta e che l’immagine digitale che diamo agli altri va gestita con cura, specie se si vogliono evitare i rischi.
Oggi fare il genitore è un mestiere da Erode
Vietare gli smartphone e i social toglie responsabilità ai genitori, che si sentirebbero finalmente sollevati dal dover negoziare con i figli su orari, limiti e contenuti. Insomma, per restare in tema biblico, un comportamento alla Ponzio Pilato. Forse, e togliamolo anche il forse, sarebbe meglio accompagnarli in questo percorso digitale, piuttosto che affidarci al Governo perché faccia tutto lui? Dare l’esempio e impostare regole di buon senso potrebbe essere un investimento migliore di un divieto imposto dall’alto. E che esempio diamo noi, sedicenti adulti, quando a tavola mettiamo il telefonino alla sinistra del piatto e, cenando, con un occhio guardiamo il TG, con l’altro controlliamo le chat o i social per lamentarci che i ragazzi non parlano con noi?
La tentazione del “non guardare”
E dal tempo della mela di Eva che un divieto potrebbe far nascere la classica tentazione di fare ciò che è proibito. Che sia una mela, che sia un App o un social, che sia un film a luci rosse, ciò che non si può avere diventa molto più interessante, o no? Un rischio reale di creare un mercato nero di smartphone o gruppi segreti su Telegram, dove i ragazzi si scambiano trucchi per aggirare le regole. E noi saremmo al punto di partenza, ma con più hacker in erba.
La soluzione? Educare, non proibire
Insomma, vietare è come tappare il naso per non sentire la puzza: funziona solo se non respiri. Vietare gli smartphone sotto i 14 e i social sotto i 16 anni non risolve il problema, lo sposta, lo camuffa, lo rende invisibile (ma solo per un po’). La vera sfida è imparare noi per primi a gestire questi strumenti e far sì che i nostri ragazzi ne comprendano l’uso e gli effetti. Insegnare a convivere con la tecnologia è più utile di togliergliela. E non solo ai ragazzi!
Perché, alla fine, non possiamo negarlo: siamo in un’era in cui lo smartphone è il nuovo zaino e i social sono i nuovi cortili di scuola, le nuove panchine, le nuove piazzette. Con gli stessi scopi (e gli stessi rischi) di noi diversamente giovani. Forse è ora di imparare a viverli meglio, piuttosto che ignorarli o demonizzarli.