Immaginate di vedere un video in cui il vostro attore italiano preferito canta in giapponese fluente. O peggio, di ricevere un messaggio vocale da una persona che avete salutato per sempre anni fa. No, non siamo in un episodio di “Black Mirror”, ma nel meraviglioso e inquietante mondo dei deepfake e dei thanabot, due facce della stessa medaglia tecnologica: quella che non conosce limiti, né etici né di buon senso. 
Ma cosa sono esattamente? Perché se ne parla sempre più spesso, e come possiamo evitare che ci trasformino in protagonisti inconsapevoli di un thriller digitale? 
Oggi andiamo alla scoperta di questi due fenomeni, con un occhio critico, un pizzico di ironia e, prometto, nessun accenno macabro (al massimo qualche battuta inquietante). Perché il problema non è la tecnologia in sé, ma come la usiamo. 

Deepfake: l’arte del falso perfetto

Vi ricordate la scena di “Bentornato Presidente”, quando il protagonista finisce in una “bolla digitale” e tutto quello che appare sui media sembra cucito su misura per le sue opinioni mettendo in risalto i suoi “difetti”? Beh, i deepfake sono come quella bolla, ma portata al livello successivo: non si limitano a mostrarti solo ciò che vuoi vedere, ma possono anche farti credere che lo stai guardando davvero. 
Un deepfake è un video o un audio manipolato con l’intelligenza artificiale per sostituire il volto o la voce di qualcuno con quelli di un’altra persona. Il risultato? Puoi vedere il Presidente della Repubblica che balla la Macarena o il tuo capo che ti annuncia un aumento… peccato che siano entrambi falsi! 

Inizialmente usati per scopi artistici e di intrattenimento, i deepfake hanno rapidamente invaso il lato oscuro del web: fake news, ricatti, furti d’identità. Ricordate il famoso caso di un amministratore delegato truffato con una telefonata deepfake? Qualcuno aveva replicato la voce del suo capo per farsi trasferire migliaia di euro. Geniale, forse, ma anche profondamente inquietante. 
Il pericolo maggiore, però, è il danno alla reputazione. Pensateci: bastano pochi secondi di un video falso, ben fatto, per distruggere la credibilità di una persona. E con l’AI che migliora ogni giorno, diventa sempre più difficile distinguere un deepfake da un video autentico. 
Ma non disperiamo! Per ora ci sono segnali a cui prestare attenzione: movimenti del volto poco naturali, ombre che non tornano, o quel senso di “strano” che vi fa dire: “C’è qualcosa che non quadra…” E se siete in dubbio, ricordate: meglio un sano scetticismo che una creduloneria da premio Oscar! 

Thanabot: conversazioni dall’aldilà (digitale)

Se i deepfake sono una performance da Oscar per la tecnologia, i thanabot potrebbero vincere il premio per il miglior dramma emotivo. Questi bot, progettati per simulare conversazioni con persone decedute, rappresentano un mix di innovazione e controversia che divide il pubblico: da una parte c’è chi li considera un conforto, dall’altra chi li vede come un confine etico superato. 
Ma cosa sono esattamente? Un thanabot è un’intelligenza artificiale addestrata su dati personali di una persona scomparsa: messaggi, email, post sui social. L’idea è che, con abbastanza informazioni, il bot possa replicare il modo di scrivere e persino di parlare di chi non c’è più. Per alcuni è un modo per colmare il vuoto della perdita; per altri, un costante promemoria che “lasciare andare” è più facile a dirsi che a farsi. 
Un esempio celebre è stato quello di un giovane sviluppatore che ha creato un thanabot della sua migliore amica, deceduta in un incidente. Il bot riusciva a rispondere come lei avrebbe fatto, con le sue espressioni tipiche e persino un pizzico di sarcasmo. Un’idea commovente? Forse. Ma anche inquietante, se si pensa alle implicazioni psicologiche. 
Ed è qui che iniziano i problemi. Parlare con un thanabot può aiutare a elaborare il lutto o prolungarlo all’infinito? Ci troviamo di fronte a un dilemma etico: è giusto “riportare indietro” qualcuno, anche se in forma digitale? E cosa succede se queste tecnologie finiscono nelle mani sbagliate, magari per frodi emotive? 
Come sempre, il confine tra tecnologia utile e invasiva è sottile. Ma una cosa è certa: prima di affidarvi a un thanabot, chiedetevi se state cercando conforto… o se è solo una scusa per rimandare l’appuntamento con il tempo, che è ancora il miglior medico. 
E no, non chiedetemi se mi hanno mai creato un thanabot: sono vivo e vegeto ed essendo abbastanza loquace anche da morto potrei mettere in difficoltà qualche AI non troppo evoluta! 

Il lato oscuro della luna digitale

La tecnologia è come la luna: luminosa e affascinante da un lato, ma con un lato oscuro che preferiremmo non esplorare troppo. Deepfake e thanabot sono due crateri importanti di questa “luna digitale”, e, come astronauti improvvisati, ci troviamo spesso senza mappe per orientarci. 
Pericoli concreti, implicazioni etiche
Da un lato, i deepfake possono sembrare divertenti: chi non vorrebbe vedere un amico “recitare” in un film di Hollywood? Ma il confine tra scherzo e manipolazione è sottilissimo. Quando queste tecnologie vengono usate per diffondere fake news, truffare o screditare, il danno è reale e spesso irreparabile. 
I thanabot, d’altra parte, sollevano interrogativi più personali. Se è vero che potrebbero aiutare in un momento di dolore, non rischiano di alterare il nostro rapporto con la realtà? Parlare con una simulazione ci consola… o ci imprigiona? 
Il ruolo della responsabilità
La domanda cruciale non è se queste tecnologie siano giuste o sbagliate, ma come le usiamo e chi ne detiene il controllo. Nel lato oscuro della luna digitale, c’è il rischio di perdere qualcosa di prezioso: la fiducia, non solo negli altri, ma anche in ciò che vediamo e ascoltiamo. 
Consigli pratici per restare con i piedi per terra
Siate scettici: Non credete subito a tutto ciò che vedete online. Anche se sembra reale, potrebbe non esserlo. 
Imparate a riconoscere le trappole: Informatevi sulle tecnologie che generano deepfake e bot. Conoscere il nemico è come vincere già metà della battaglia. 
Condividete con giudizio: Prima di inoltrare video o audio sospetti, pensateci due volte. Un clic in meno può fare la differenza. 
Insomma, il lato oscuro della luna digitale può essere esplorato, ma non senza una torcia accesa: il nostro senso critico.

E se proprio volete guardare la luna, fatelo dal vivo. È ancora gratuita e, per ora, non ci sono bot che rispondono al posto suo! 

La tecnologia non è un mostro, ma…

La tecnologia non è né buona né cattiva: è uno strumento. È come la dinamite inventata da Alfred Nobel. Pensata per scopi utili, come l’ingegneria civile, è finita per essere usata anche per distruzione e guerra. Nobel, turbato dalle implicazioni della sua invenzione, decise di lasciare un’eredità diversa, istituendo i Premi Nobel, che celebrano il progresso e la pace. 
Allo stesso modo, deepfake e thanabot non sono mostri in sé: dipende dall’uso che ne facciamo. Possono intrattenere, aiutare, persino curare, ma possono anche manipolare e ferire. La differenza, come sempre, sta in chi tiene in mano la “miccia”. 
Quindi, se da un lato è affascinante esplorare il lato oscuro della luna digitale, dall’altro è nostro compito farlo con responsabilità. La tecnologia ci offre infinite possibilità, ma sta a noi scegliere se usarle per costruire ponti o scavare crateri. 

E ricordate: prima di fidarvi di un video, di un messaggio o persino di una voce, accendete la vostra torcia più potente: il vostro senso critico. Perché nella galassia digitale, anche la luce più brillante può nascondere ombre.